Questo mare si aggrappava al balcone della casa in cui sono cresciuto, e che da lì a poco avrei perso, decidendo con arroganza l’umore delle giornate.
Sorridendo alla “Grande onda di Kanagawa”, mi sono divertito a tingere cielo, sfumature e venature dell’acqua, dandogli la forma di stampe che miscelano ricordo e realtà.
La turbolenza di quel giorno, che pare penetrare nel cielo più che nella terra, segna un confine tra ciò che è visibile e ciò che è impenetrabile: l’acqua non è più trasparente.
Empatizzando con quello stato di bufera che detta le distanze e azzittisce come un urlo, fotografo un mare che delimita il confine tra la mia percezione e la sua imperturbabile natura: io osservo la sua tempesta, lui cela la quiete al di sotto dei suoi tumulti.